PUNTASPILLI
e abiti di carta
Opera letteraria premiata dal Club per l'UNESCO di Udine
“La vecchiaia non è poi la catastrofe che sembra,
se si considerano delle alternative in corso d’opera”
C’è da dire che questo posto al mattino ha un buon profumo…
Quando c’è il sole, fuori, che gioca a rifrangersi sulle vetrate e sulle sempre grigie piombature dei decori, proprio come sta facendo oggi, scendere in sala è come entrare in uno di quei lussuosi bar pasticceria del centro. Sotto le luci l’argenteria scintilla in bella mostra e le ceramiche tintinnano come vezzosi progetti raccontati. Anche il vociare è più allegro, nonostante sia un infreddolito cinguettio autunnale. Fragranze dolci e corpose, di vaniglia e marmellata di lamponi, si fondono ai piacevoli effluvi di dopobarba da uomo, brillantina per capelli, gocce di profumo femminili, lavanda e… aspettate… questa, questa, questa è… naftalina!
Ci risiamo, il portatore sano d’antitarme è Mirna!
Già, proprio lei. Verrebbe da dire: “Lupus in fabula!” Sfiorandola per raggiungere il mio posto, ne ho conferma.
Nulla di strano che faccia colazione con il collo di volpe argentata, indossata sulla vestaglia di pile scozzese grigio e nero, non è la prima volta, e volendo essere fiscali ci sta anche bene, tenendo in considerazione le sfumature cromatiche. Quello che non riesco a farle capire è che aerare, di tanto in tanto, tutti quei pacchetti sigillati, nei quali ripone le sue pellicce, non farebbe male né a quest’ultime né a tutti gli ospiti. Sarà un buon motivo per fermarla dopo che avrà finito di fare colazione.
Ho una certa esperienza anche come guardarobiera e, quindi, so come trattare con le vecchie volpi, con tutti i loro peli e i loro vizi a seguito… ah, dimenticavo le virtù, sarà cosa buona e giusta riconoscere loro anche queste.
“Chiunque vorrebbe, accanto a sé, un angelo custode dotato di ago, filo
e un cuscinetto di spilli, pronti per tenere assieme i lembi di uno strappo”
Introduzione
di Emma L.
Se mai, per qualche strano gioco delle parti, fosse la vita ad aver bisogno di abbigliarsi, senza poter contare su di noi e sul nostro gusto personale in fatto di moda, e necessitasse, quindi, di un guardaroba capace di rivestirla sempre in modo impeccabile, secondo l’occasione, allora non le resterebbe altro da fare che rivolgersi a Bice. Chi è Bice?
Bice è uno spiritello risoluto e creativo, poco ingombrante, che dimora in ciascun essere umano e che, assieme a lui, vive la vita assegnatagli. Sì, tutti abbiamo uno spiritello in noi, nessuno escluso. Molti, secondo la loro sensibilità, lo chiamerebbero punto di vista, saggezza o, ancora, libera interpretazione degli eventi, ironia, e in casi estremi: spirito d’adattamento.
Abbandonata con convinzione l’immagine comune che vuole l’anziano solitario, indigente, malato e incapace di contare i giorni come doni, perché troppo spesso dedito al silenzioso countdown delle ore che lo separano dalla morte, “Puntaspilli e abiti di carta” presenta un gruppo di arzilli vecchietti sopravvissuti, o modificati a seconda dei casi, al plagio che la notorietà ha operato sulle loro personalità e che, grazie anche a una situazione economica un po’ più agiata, rispetto al pensionato tipo cui si è fatto riferimento prima, si trovano a condividere vezzi, ricordi e progetti, nella speranza comune che la morte sbagli strada, ritardando l’incontro con ciascuno di loro.
Villa Margherita di Savoia, casa di riposo esclusiva per artisti in pensione, è teatro di diversi episodi, alcuni frivoli e altri più impegnativi diversamente contestualizzabili altrove.
Bice, unica possibile voce solista in questo coro di anime famose e fumose, rimette ordine, sostiene, e qualche volta tiene assieme, grazie al suo lavoro di sarta scampoli di senilità capace di disperdere, in una volta sola, sia i pensieri quanto i ricordi.
PUNTASPILLI
E ABITI DI CARTA
di Patrizia Vittoria Rossi
Recensione di Antonella Arietano
È una storia ben imbastita, quella dell’anziana sarta Beatrice Cecioni. Una vita trascorsa dietro le quinte, occupandosi dei costumi di scena, cucendo e dando vita ai sogni. Un’esistenza semplice, che la porta a trascorrere gli anni della sua vecchiaia in una casa di riposo per artisti, circondata da persone più o meno simpatiche, ma tutte estremamente originali.
È la stessa Bice a raccontarci ciò che accade tra le mura di Villa Margherita, osservando ciò che succede tutto intorno a lei e mettendo insieme i pezzi che le capita di raccogliere, unendoli con punti precisi e invisibili. Bice ci rende partecipi di un’opera corale, nella quale trovano spazio personaggi veri e ricchi di carattere, tra i migliori che mi sia mai capitato di incontrare fra le pagine di un libro.
Il romanzo è costituito da una serie di vicende intrecciate tra di loro, che ci permettono di conoscere i vari ospiti della prestigiosa residenza. La narrazione scorre piacevole e il lettore finisce per essere ammaliato da Bice, che spesso si rivolge direttamente a lui per coinvolgerlo nel suo racconto.
Lo stile è semplice, ma capace talvolta di indulgere in attimi particolarmente poetici e toccanti, che scaldano il cuore; si passa quindi dalla leggerezza all’ilarità, per indugiare poi nella malinconia e arrivare qualche volta a fare i conti con la paura.
È un romanzo dalle mille sfaccettature, che sarebbe sbagliato accogliere aspettandosi un contenitore di racconti distinti: Patrizia Vittoria Rossi ci offre un’opera toccante e coinvolgente, focalizzandosi su una fase della vita forse un po’ snobbata dalla letteratura moderna. Nel farlo riesce a mantenere una certa leggerezza, cosicché chi legge non si ritrova mai a disagio nel confrontarsi con quello che viene comunemente definito “l’autunno della vita”.
La trama, come dicevo, si dipana in maniera ben strutturata, mantenendo sempre una buona unicità e una struttura ben costruita pur nella sua semplicità.
Ribadisco che il pezzo forte di questo libro sono i personaggi, a cominciare dalla stessa Bice, vivace e simpatica. Non ci si ritrova confrontati con grandi colpi di scena, né con rivelazioni improvvise, anzi sarei portata a dire che il romanzo regge bene proprio in virtù della sua linearità, da non confondere con la noia: il lettore può concedersi il rilassamento di una storia aggraziata e delicata, che tuttavia non manca di un tocco frizzantino qua e là.
Sono stata catturata quasi subito dalla verve di Bice Cecioni, e non ho potuto fare a meno di leggere il “suo” libro.
Sono stata contenta di sbirciare dalle finestre di Villa Margherita, lieta di scoprire un mondo popolato da persone che hanno ancora così tanto da dire. Un romanzo che sembra sussurrare educatamente a ogni pagina “non è mai finita finché non lo decidi tu” (J-Ax, Intro, dall’album “Il bello di esser brutti”).
Antonella Arietano
Puntaspilli
e abiti di carta (II edizione)
Romanzo
di Patrizia Vittoria Rossi
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